Donne migranti allo Sportello Lavoro

sportello donne
 
Lo Sportello Lavoro è una delle attività di ASAI che si propone di sviluppare azioni concrete sul territorio per favorire l’inserimento lavorativo fornendo accoglienza, informazione, consulenza e formazione orientativa, elaborazione del curriculum, accompagnamento nella ricerca di lavoro, sostegno nella realizzazione di un percorso personalizzato.
 
Lo Sportello ha iniziato la sua attività nel 2002 ed è stato accreditato dalla Regione Piemonte per le attività di Orientamento nelle Macroaree Informazione orientativa, Formazione orientativa, Consulenza orientativa, Sostegno all’inserimento lavorativo. L’afflusso allo Sportello è aumentato costantemente nel tempo, fino al 2010, anno in cui si è deciso di concentrare l’attività sulle sole categorie dei giovani (16-35 anni) e delle persone coinvolte nel lavoro domestico, per poter garantire uno standard adeguato di qualità.
 
I nuovi utenti vengono invitati a un colloquio conoscitivo, all’elaborazione del curriculum e a partecipare alle attività di aggiornamento e formazione mensile organizzate dal gruppo GRAFT, GRuppo Assistenti Familiari Torino, in collaborazione con l’Ufficio Pastorale Migranti della città. 
 
Chi sono le donne che arrivano allo Sportello?
 
Sono per la maggior parte persone immigrate che arrivano da Perù, Romania, Marocco, Equador, Moldavia e dai Paesi dell’Africa subsahariana. Le difficoltà che incontrano sono legate per lo più al lavoro. Alcune problematiche sono comuni a tutte le donne (gestione casa, precarietà, ostacoli nell’avanzamento e qualificazione), altre sono acuite dalla condizione migratoria, per esempio la difficoltà a trovare lavoro, la scadenza del permesso di soggiorno, l'assenza di rete familiare o parentale, la gestione dei figli nati in Italia o ricongiunti, la necessità di sostegno economico per i figli nel Paese di origine e i rapporti complessi con la famiglia lontana.
 
Anche se i figli sono in Italia, possono esserci difficoltà di inserimento nella rete dei servizi, con deficit di apprendimento, problemi con le due lingue, problematiche legate al tema della discriminazione. Se vivere con i figli in Italia comporta problemi di conciliazione famiglia-lavoro, parallelamente la lontananza delle madri dai figli, lasciati nel Paese di origine e affidati al padre o a un familiare, determina gravi problemi sociali che si ripercuotono sui rapporti ed equilibri all’interno delle famiglie stesse. L’obiettivo della migrazione per la maggior parte delle donne è quello di assicurare ai figli un futuro migliore e un livello di studi elevato. Tuttavia i bambini e gli adolescenti che vivono lontani dalla madre vengono definiti “orfani bianchi” e sono esposti a fortissime tensioni psicologiche che poco alla volta possono condurre a depressione o ribellione, come dimostrato da molti studi recenti.
 
Lo stimolo che muove una donna a lasciare tutto e trasferirsi in un Paese lontano è la ricerca di miglioramenti per sé e per la propria famiglia. La donna decide di partire facendo promesse: un ritorno prossimo, l’invio di rimesse periodiche per risolvere problemi di sussistenza della famiglia e, se tutto va bene, la possibilità di fare un ricongiungimento familiare. Un percorso molto faticoso che arriva senza strumenti se non la voglia di fare, di imparare e tanti sogni da concretizzare. Le prime protagoniste del progetto immigratorio erano donne adulte, disposte a fare qualunque lavoro, pur di guadagnare per aiutare la famiglia lasciata nel Paese d'origine, e saldare debiti e il prezzo di un viaggio costato caro.
 
 
Il futuro del lavoro per le donne migranti
 
Di fronte all’aumento del numero di anziani, si verificherà nei prossimi anni una carenza sempre maggiore delle persone dedicate alla cura. Molte assistenti familiari che sono in Italia da tanti anni, denunciano stanchezza e mancanza di motivazione. L'assenza di diritti, di riconoscimento sociale, di rivalutazione delle capacità professionali genera un costo pesante che si traduce in bassi livelli di autostima, stress e senso di solitudine, impossibilità di carriera lavorativa, difficoltà nel cambiare settore di lavoro, precariato, mancata possibilità di conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
 
Argomento altrettanto importante è l’adeguamento del contratto di lavoro che è ancora plasmato sulle colf, anzi sulla figura delle "persone di servizio" di una volta. È un contratto che non descrive e quindi non riconosce il reale lavoro di queste figure, e che prevede una tipologia di impegno residenziale che non permette una reale gestione della vita privata delle lavoratrici. È quindi urgente ridisegnare i percorsi di orientamento e formazione differenziando i percorsi per le donne che da tempo sono nel mondo del lavoro, da quelli dedicati alle donne da poco arrivate che devono ancora inserirsi e studiare l'italiano. Bisognerebbe inoltre riconoscere il ruolo fondamentale di queste lavoratrici nell’organizzazione della vita delle famiglie italiane, nodo fondamentale nella rete dei servizi di assistenza a domicilio, e il riconoscimento a livello istituzionale con la definizione della “qualifica” e quindi  della rivalutazione contrattuale e l’aggancio al servizio sanitario nazionale.
 
Il lavoro di cura comporta la capacità di stare in relazione con la persona da assistere e con la sua famiglia, ma anche, sempre di più, la conoscenza di nozioni tecniche specifiche in campo medico e infermieristico. Il compito dello Sportello è quindi complesso: si tratta di accogliere e ascoltare queste donne nella loro complessità di lavoratrici, madri e immigrate, aumentando le competenze e assicurando vicinanza e formazione permanente anche dopo l’acquisizione della qualifica.
 
 
 

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