Paese che vai, scuola che trovi. Stati Uniti

La scuola nel mondo raccontata dai suoi protagonisti.
Continua il confronto tra diversi modelli di scuola raccontati da genitori, docenti, operatori e studenti che vivono o hanno vissuto all’estero. Uno stimolo in più per ragionare insieme sulle differenze e sulle buone pratiche italiane e straniere.
 
STATI UNITI: SBAGLIARE SI PUÒ.  A scuola per ricominciare.
 
Buxmont Academy
 
Gli Stati Uniti sono un paese di grandi contrasti: ci fanno vedere il peggio e il meglio, offrendoci una cronaca piena di episodi drammatici ma anche una serie di esperienze sociali particolarmente virtuose e innovative.
 
Alcune di queste sono condensate nelle scuole fondate da Ted Wachtel e sua moglie Susan nello stato della Pennsylvania, che nel 2014 mi hanno accolta per alcuni mesi di osservazione attiva e di tirocinio. Io sono un’educatrice e quel periodo mi ha aiutata a ritrovare il senso della mia professione.
Nel 1977 Ted Wachtel e sua moglie Susan fondarono l’organizzazione no-profit CSF che attualmente gestisce il progetto Buxmont Academy, che comprende sei scuole della Pennsylvania. Gli studenti sono ragazzi espulsi dalla scuola tradizionale o autori di reati di diversa gravità, che hanno la possibilità di vivere ancora con la propria famiglia o all’interno di una comunità o casa-famiglia, tramite un istituto giuridico simile alla nostra “messa alla prova” italiana. Nel lavoro quotidiano di quei primi anni, in Susan e Ted c’era un grande entusiasmo e una nitida motivazione, ma sentivano che mancava “qualcosa”.
Agli inizi degli anni ‘90 conobbero il poliziotto australiano Terry O’Connell e il suo innovativo metodo con cui gestiva da diversi anni gli incontri tra le vittime e gli offensori. Da quel momento, iniziarono a organizzare incontri di giustizia riparativa tra i propri studenti autori di reato e le loro vittime dirette, con la presenza di familiari, amici stretti e adulti di riferimento. Nel 1994 avviarono un programma internazionale, chiamato Real Justice (“giustizia reale”), all’interno del quale insegnanti ed educatori - chiamati counselor - lavoravano insieme sulla base di una metodologia condivisa.
Io sono stata nella scuola superiore della città di Bethlehem, in Pennsylvania: una città piccola ma con alcuni quartieri molto problematici. Gli studenti di quella scuola sono cinquanta, molti dei quali afroamericani o di origine centroamericana.
Ogni mattina tutti i ragazzi formano un grande cerchio in plenaria, mentre uno degli educatori fa l’appello e indirizza gli studenti, divisi in gruppi da cinque o sei, nelle rispettive classi. Ogni insegnante ha la propria aula, mentre sono gli studenti a muoversi da un’aula all’altra a seconda del proprio programma personalizzato. Il cerchio è ripetuto e condiviso anche nel piccolo gruppo, all’inizio di ogni lezione.
Ogni settimana viene chiesto agli studenti di dire cosa hanno intenzione di fare e di apportare per rendere la lezione piacevole, funzionale e utile. È un accordo che viene costantemente alimentato con l’apporto di tutti.
La lezione non è mai frontale: i banchi sono in cerchio oppure sparsi. Se non vengono rispettati gli accordi presi, ci si siede in cerchio e si cerca di make things right, cioè di “rimettere le cose a posto”. Gli studenti stessi sono chiamati a dare dei rimandi ai propri compagni nel momento in cui hanno un comportamento scorretto nei loro confronti o nei confronti dell’insegnante.
Non sempre è facile riconoscere di aver avuto un comportamento inadeguato e quindi comprenderne le conseguenze. In questo caso, entra in scena la figura dell’educatore. Il ragazzo viene mandato nello studio del suo counselor di riferimento ed è invitato a riflettere su ciò che ha fatto, attraverso le cosiddette “domande riparative” che separano la persona dall'atto che ha compiuto:
- Cosa è successo?
- A cosa stavi pensando in quel momento?
- Cosa hai pensato a partire da quel momento?
- Chi è stato danneggiato da quello che hai fatto? In che forma è stato danneggiato?
- Cosa pensi tu debba fare per mettere le cose a posto?
Questa riflessione con l’adolescente viene poi condivisa con le persone coinvolte, ma se il conflitto riguarda un numero rilevante di persone o riveste certe caratteristiche, si affronta il giorno dopo all’interno del cerchio iniziale di tutti gli studenti. L’adolescente chiede al gruppo se può condividere la propria riflessione, chiede scusa alle persone che ha danneggiato e chiede loro un rimando.
Nella parte pomeridiana dell’orario scolastico, sempre divisi per gruppetti, i ragazzi seguono una lezione particolare che si chiama “gruppo dinamico”. Vengono proposti vari temi di cui parlare e su cui condividere le proprie esperienze.
Una volta alla settimana viene fatto “il gioco del feedback”. Viene chiesto ai ragazzi e agli educatori che gestiscono il gruppo di darsi dei rimandi sulle emozioni e sui reciproci comportamenti, seguendo la seguente traccia: quando tu fai/dici… io mi sento… (e non “tu mi fai sentire”) e te lo voglio dimostrare/comunicare con... (ad esempio, con un abbraccio o una stretta di mano).
Anche gli insegnanti e gli educatori sono invitati a dire agli studenti come si sentono e a esprimere i propri sentimenti: le dichiarazioni affettive sono uno dei capisaldi delle pratiche riparative, anche tra adulti e minori. Studenti e docenti, insieme, sperimentano l’empatia.
Un altro aspetto significativo del progetto è il “luogo” dove la scuola si colloca. I ragazzi rimangono nel proprio contesto complesso. La permanenza in quella scuola alternativa ha un periodo limitato che dipende da caso a caso: può durare sei mesi, un anno o due. Poi, tramite un incontro tra il ragazzo, i suoi familiari, gli operatori della Buxmont Academy e i nuovi professori, c’è il ritorno alla scuola tradizionale. Nei mesi successivi, un tutoraggio congiunto dei vecchi e dei nuovi insegnanti aiuta a rendere meno arduo il salto.
Un altro aspetto chiave è il coinvolgimento dell’ente pubblico: la quota di ogni ragazzo viene pagata dallo stato della Pennsylvania, che ripone una grande fiducia in questa modalità di intervento dando respiro al progetto educativo.
Non a caso, ogni anno, decine di insegnanti e direttori scolastici da tutti le parti degli Stati Uniti visitano quelle scuole, per una o più settimane, osservando e captando approcci e dettagli.
La linearità e la chiarezza metodologica degli operatori della Buxmont Academy sono un esempio di percorso efficace e possibile.
 
Alice Zoggia, 27 anni, laureata in Scienze dell’Educazione, lavora come educatrice in una comunità per minori. Ha approfondito il tema della giustizia riparativa in Perù e negli Stati Uniti. È iscritta al master in Restorative Practices presso l’IIRP della Pennsylvania.
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