Cara ASAI, ti scrivo per dirti...

come impostare una lettera formale
 
Sara è una giovane tirocinante che ha trascorso un periodo di formazione in ASAI. Alla fine del suo percorso, ha scritto una lettera per i volontari, gli operatori e i ragazzi dell'associazione, per condividere con noi le sue riflessioni e farci partecipi di quel meraviglioso "cappotto del futuro" che sta cucendo a misure delle  proprie aspettative e risorse.
 
 
Caro team di ASAI,
è circa tre mesi che ci conosciamo e vorrei dire alcune cose su questo mio percorso insieme a voi.

Mi piace sempre partire con un grazie, perché è una parola piccola, semplice che tuttavia ha un significato profondo, complesso e squisitamente umano. Grazie per avermi accolto tra voi, per avermi dato l’occasione di provare, di sbagliare, di interrogarmi, di trovare e talvolta di non trovare delle risposte. Grazie per avermi dato uno spazio, con quel “punto Sara” all’ordine del giorno ogni settimana, che in cuor mio ho sempre apprezzato molto perché era un modo implicito per dire che ci sono anche io, che, anche se ho ancora moltissimo da imparare, posso avere un’opinione, un pensiero, delle cose da dire, un momento per dirle e delle persone che hanno voglia di ascoltarle. Questo non è scontato... assolutamente.

Ho provato spesso a rispondere alla domanda “Che cos’è ASAI?”, all’inizio credevo che fosse abbastanza semplice... sì, insomma, è un’ Associazione di Animazione Interculturale, per quello che ho fatto io posso dire che si tratta di un centro aggregativo per ragazzi (stranieri e non) dove si fanno compiti e attività varie, facile no? Beh, all’inizio pensavo di sì, però mi mancava un pezzo, era un po’ come ricevere un regalo e credere di aver azzeccato il contenuto semplicemente guardando la forma della scatola.

Posso dire che il percorso che ho fatto in questi tre mesi sia stato cercare di aprire quella scatola per svelarne il contenuto... sicuramente, in così poco tempo, non sono arrivata fino in fondo, però sento di aver già trovato tanto, non solo in merito all’associazione, alle persone che la frequentano o alle mille emozioni che si percepiscono all’interno, ho trovato qualcosa anche di me stessa... come se stessi cucendo il cappotto del mio futuro e, procedendo a mano a mano sulla strada, trovassi dei pezzi di stoffa, tante forme, grandi e piccole, che messe insieme determinano chi spero di poter essere un giorno. In realtà non ho un’idea ben chiara e definita su chi sarò e probabilmente è anche giusto che sia così... a volte mi sembra un po’ di essere un pezzo di argilla che prende forma piano piano, che viene plasmato un po’ da sé stesso e un po’ dalle esperienze che si vivono e dalle persone che si incontrano...e bene, anche stare con voi ha contribuito a darmi una forma.

Ma torniamo alla nostra scatola. Per prima cosa, aprendo il coperchio, credo di aver trovato tanti filini di plastica, quelli che si mettono per riempire gli spazi vuoti ed evitare che il contenuto si rompa. Diciamo che il primo impatto, la prima uscita, i primi pomeriggi con i ragazzi sono stati un po’ come un inizio in medias res, come esser stati catapultati nel vivo della situazione, in una realtà creativamente caotica che stava già correndo quando io ancora mi stavo allacciando le scarpe.

Tolto tutto questo involucro ecco che arriviamo ad uno step successivo: una mappa. In questa mappa ci sono tutti i centri di ASAI, le persone di riferimento, i loro ruoli, gli orari, l’organizzazione e una grossa X rossa tracciata sulla sede di San Salvario con su scritto “Tu sei qui”. Bene, avevo fatto un po' di ordine, ci stavo capendo qualcosa. Ora bisognava “solo” masticare tutto quello che avevo capito e sviscerarlo pezzo per pezzo. Mappa alla mano, i prossimi oggetti che trovo sono senz’altro un bel microfono, una caffettiera e mille pacchi di biscotti! Asai parla molte lingue tra cui quella universale della musica, quella del bere (o nel mio caso non bere) un caffè insieme, scambiando parole e dedicandosi del tempo a vicenda e quella del condividere il cibo, che sia colazione, pranzo o merenda.
 
Proseguendo nel mio viaggio, ho scoperto di avere davanti una scatola particolare, che diventa tanto più grande, quanto più la si vuole esplorare, sentire, vedere, vivere; per cui all’improvviso mi sono accorta che non la stavo più guardando dall’esterno ma mi ci trovavo all’interno, ne vedevo i confini, però ci stavo camminando dentro. Ed è a questo punto che ho incontrato veramente le persone, ho parlato con loro, ho cercato di iniziare a conoscerle. Da ognuno ho imparato qualcosa, poi naturalmente ci sono alcuni con cui ho speso più tempo e altri con cui ne ho speso un po’ di meno, tuttavia ognuno ha una propria caratteristica distintiva, la propria personalità che si fa vedere e che si intreccia a quella di tutte le altre a formare un’armonia, come se fossimo noi stessi tanti pezzi di un tangram che trovano il loro spazio e creano un insieme unito e compatto.
 
Incontro voi, incontro i ragazzi e le ragazze, i volontari, persone che passano, persone che tornano, persone che partono. Ognuno una storia, ognuno un ricordo, ognuno un pezzetto di stoffa da cucire al cappotto del mio futuro. Ho ascoltato delle storie, ho ricevuto dei gesti, delle parole, delle emozioni e spero di averne anche condivisi, anche se a modo mio, sempre un po’ in punta di piedi, piano, sottovoce...
 
Avanzando in questo cammino tutti i dettagli prendono una forma sempre più nitida, riesco a percepirli meglio, a focalizzarli e ad un certo punto vedo che, dove prima c’era il pavimento, adesso c’è uno specchio in cui posso scorgere il mio riflesso ma anche quello di chi mi sta intorno, delle persone che passano, che mi vedono o che non mi vedono... qualcuno si ferma a guardare con me, qualcun altro è nel suo spazio e guarda se stesso.
 
Mi faccio delle domande, lo chiedo al mio riflesso e penso. Penso a cosa sto imparando, ai cambiamenti che percepisco e li trovo, li vedo, li sento. Accanto a me ci sono dei sassi, alcuni più piccoli, altri un po’ più grandi. Sono le difficoltà che ho incontrato e che incontrerò ancora. Le metto nel mio zaino, come gli interrogativi da sciogliere, le cose su cui lavorare nel futuro, ciò che mi ricorda che non si arriva mai alla fine dell’apprendimento e che è giusto mettersi in discussione, confrontarsi, chiedere aiuto e non proseguire da soli.
 
Man mano che vado avanti, tutto ciò di cui prendo consapevolezza si trasforma in quei piccoli pezzi di stoffa da cucire al cappotto del mio futuro. Li raccolgo tutti quanti e comincio a metterli insieme e mentre faccio questo gesto mi rendo conto che il filo che sto usando è un filo particolare, è un filo semplice, morbido, resistente, infinito, che unisce e non divide, che prova a chiudere gli strappi aperti, che mette insieme tutto quello che ho appreso, che ho vissuto, che ricordo, che ho provato... è l’elemento fondamentale per costruire un’unità resistente che spero di indossare al meglio per tutta la vita... è l’educazione, è essere educatore. Un filo, sì, essere educatore è essere un filo che non stringe, che non soffoca, che si intreccia alla vita delle persone senza essere invadente, talvolta senza essere visto, ma lasciando una sensazione di presenza fondamentale. L’educatore in Asai tiene insieme: i ragazzi, i volontari, le realtà esterne, tutti insomma... tutti quanti.
 
Credo che non si possa pensare di educare in Asai senza essere educato a propria volta; si dà e si riceve in uno scambio continuo con i ragazzi, con i volontari ma anche con i colleghi. Non penso che ci sia qualcuno che abbia costruito Asai, penso invece che ogni persona contribuisca ogni giorno a farlo, a dare una forma sempre nuova ad una realtà fatta di persone, che non si mantiene da sola ma va curata, va accompagnata, va vissuta... ed è proprio perché? È una realtà che va vissuta che non mi viene da dire di fare l’educatore in ASAI piuttosto trovo più corretto dire essere educatore in ASAI, essere talmente dentro quella famosa scatola da non vederne più i confini, tanto è diventata grande... non vederne più i confini non perché si è in trappola, ma perché se ne percepisce la vita che scorre all’interno perché si è diventati parte fondante di quella vita stessa. Essere educatori in ASAI è essere credibili agli occhi delle persone ed è la credibilità che instaura fiducia, che rafforza le relazioni: è essere sinceri con noi stessi, per esserlo anche con gli altri.
 
Caro team, è stata una lettera un po’ lunga e sicuramente molto astratta, però in tutto questo astratto mi rimane anche tanto di concreto, sempre un po’ difficile da esprimere ma molto chiaro nelle azioni.
 
E allora, così come ho iniziato, concludo con un grazie, un grazie che ha il profumo unico di ASAI, un profumo dolce di biscotti e di caffè.
 
Con affetto,
Sara
 

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