RAGAZZI... MA LA DAD?!?

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Silvia Benvenuti, docente di scuola secondaria, si interroga su quanto davvero la voce degli studenti entri nel dibattito sulla DAD proposto dagli adulti. Troppo? Troppo poco? 
 
Mi chiamo Silvia, sono originaria di una città di mare e di frontiera.
 
Torino mi ha accolta 10 anni fa. Qui ho fatto incontri e scoperte, una delle più stimolanti e sorprendenti è stata sicuramente ASAI. Negli ultimi tempi ho deciso di cambiare totalmente strada rendendo l’interazione con gli adolescenti parte del mio quotidiano, ho iniziato così a lavorare come insegnante alle scuole superiori.
 
Da ormai più di un anno abbiamo cominciato a familiarizzare con la didattica a distanza e se ne è parlato in lungo e in largo, partendo dalla chiacchiera in coda alle casse del supermercato fino all’articolo delle importanti testate giornalistiche. Ma a parlarne sono quasi sempre gli adulti, spesso con toni retorici e paternalistici, a volte un po' fastidiosi. 
 
I ragazzi sono stati interpellati? Probabilmente non abbastanza. Ad alcune delle mie classi ho posto una domanda: "Sentite di perdere qualcosa dei vostri rapporti sociali con la DAD oppure no?". La grande maggioranza mi ha risposto di no.

Mi sono detta, forse quelli che mi hanno risposto sono quelli più sfrontati e più socievoli che, nonostante le restrizioni, hanno trovato dei modi per vedere i coetanei il pomeriggio dopo le lezioni a distanza; forse sono quelli che hanno una famiglia numerosa e che trascorrono il tempo libero con fratelli e cugini; forse sono semplicemente quelli con una famiglia molto presente alle spalle. Oppure quelli che mi hanno risposto di no vanno meno bene a scuola e sanno che con interrogazioni e verifiche a distanza possono cavarsela con qualche copiatura in più. Magari vogliono farsi vedere forti, non vogliono mostrare di aver bisogno del confronto quotidiano con i loro pari, o in generale della scuola.
 
I ragazzi più timidi e fragili probabilmente sono quelli che non mi hanno dato risposta perché, seppur dietro a uno schermo, mantengono le stesse difficoltà nell'esprimere la propria opinione e soprattutto a mostrare il loro malessere davanti agli altri. 
 
Da un lato alcuni adolescenti non si rendono pienamente conto di come quest’isolamento stia influendo sul loro quotidiano: magari percepiscono un disagio ma non sanno bene a che cosa attribuirlo. Già abituati a passare molto tempo dietro allo schermo del cellulare, pensano che sia sufficiente un’interazione telematica per coltivare la sfera affettiva.
 
Ma se così fosse, vorrebbe dire che non siamo stati abbastanza bravi noi a creare situazioni di incontro e a permettere loro di sperimentarne l’importanza. Dall’altro lato, molti giovani stanno tirando fuori una capacità di adattamento in grado di salvaguardarli dalla criticità della situazione, anche se in maniera parziale, ma probabilmente tutto ciò lascerà comunque un segno.
 
editorial cartoon for june24
 
Quello che emerge, a mio avviso, è che la scuola non è più vissuta come luogo di incontro. Non ci sono gli spazi, non ci sono i tempi e, a volte, non ci sono gli  adulti che agiscono come mediatori. Allo stesso tempo, però, ho l’impressione che alcuni studenti si avvicinino di più ai docenti perché ne riconoscono l'impegno nell'ideare e applicare strategie di coinvolgimento più efficaci. Ci stiamo tutti accorgendo delle difficoltà organizzative e materiali della scuola, banalmente la connessione internet scadente: ciò nonostante, ci sono diversi insegnanti che si applicano con fantasia e dedizione per aggirare questi ostacoli. I ragazzi riconoscono e apprezzano questa forma di cura che li fa sentire importanti e presi in considerazione.
 
Questi nuovi scenari offrono la possibilità di creare piccole e preziose alleanze tra studenti e professori, e aiutano i ragazzi a riflettere maggiormente sul valore e sull’importanza della scuola e sul fatto che tutti dobbiamo impegnarci affinché funzioni al meglio.
 
Con la DAD si chiede agli studenti di maturare un precoce senso di responsabilità e di autodisciplina. Allo stesso tempo noi adulti siamo chiamati a prenderci più responsabilità per non fermarci alla superficie, per andare oltre le prime risposte che riceviamo quando chiediamo loro quanto pesi l’isolamento. La DAD dovrebbe spingerci a restare lucidi e propositivi nonostante la fatica e le frustazioni, per mantenere vivo il dialogo educativo, per continuare a percepire le diversità senza generalizzare. Immersi nella continua ricerca di soluzioni di incontro e di comunicazione alternative, ragazzi e adulti, insieme, devono sperimentare che la presenza conta. Sempre. 
 
 
Silvia Benvenuti, docente di scuola secondaria di II grado e volontaria ASAI in Barriera di Milano
Illustrazioni tratte dal web 
 

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