
Parlando di scienze ed educazione, tornano alla mente alcuni passi della biografia di Einstein, scritta da Walter Isaacson ed edita da Mondadori. Einstein ci sapeva fare eccome con gli esperimenti mentali, ma molto meno con quelli pratici (pare che in paio di occasioni abbia addirittura provocato un’indesiderata esplosione in laboratorio). Eppure la sua vita ci offre degli spunti utilissimi al mestiere educativo. Isaacson, biografo, per intenderci, anche di Kissinger e Franklin, va al di là dello stereotipo che vede Einstein come un uomo incapace di provare sentimenti nel lungo periodo, e che cerca rifugio nelle scienze per scappare dai propri disagi emotivi. Albert, questo sì, non era bravissimo a gestire l’affettività, soprattutto nei rapporti più intimi, però fu in grado di instaurare amicizie e relazioni che accompagnarono tutta la sua esistenza: «Era una di quelle personalità divise che sanno come proteggere, per mezzo di un’esteriorità spinosa, il regno delicato della loro intensa vita emotiva».

Anche a causa del suo carattere ribelle e anticonformista, fu l’unico laureato nella sua sezione del Politecnico a non ricevere un’offerta di lavoro in ambito accademico. Ecco quindi che le sue intuizioni migliori furono partorite mentre lavorava da anonimo impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna, in «quel chiostro terreno dove covavo le mie idee più belle».
Dalla relatività ristretta alla relatività generale, il suo sguardo riuscì a rivoluzionare addirittura i concetti di spazio e tempo, permettendo al genere umano un enorme balzo in avanti dovuto alla sua immaginazione. Non tutti sanno che Einstein non vinse il premio Nobel per la teoria della relatività, bensì per un altro articolo, scritto nel 1905, che fu un mattone essenziale per la costruzione della Meccanica Quantistica. Eppure Einstein non amò mai questa teoria perché pensava che fosse incompleta, in quanto prediceva solo delle probabilità (da qui la famosa frase “Dio non gioca a dadi”). Nel 1935 Einstein cercò addirittura di dimostrare che la Meccanica Quantistica non stesse in piedi ma la sua classe era tale che da quell'articolo “sbagliato” nacquero tre attualissimi filoni di ricerca che, come ci dice il fisico e amico di ASAI Stefano Sciuto, sembrano usciti da film di fantascienza: il teletrasporto, il computer quantistico e la crittografia quantistica!

Anche dopo la morte, avvenuta nel 1955, Einstein continuò a far parlare di sé e non solo per la portata delle sue intuizioni. Diversi specialisti provarono addirittura a carpirne i segreti studiando il cervello del genio, sottratto senza permesso dal patologo Thomas Harvey e costretto a girovagare per gli Stati Uniti in una Buick presa a noleggio. In realtà l’aspetto interessante era capire come funzionasse la mente di Einstein, e non il suo cervello. Di certo, per tutta la vita, la curiosità lo spinse «a interrogarsi su ciò che era familiare, su quei concetti sui quali l’adulto non si arrovella mai». In lui, inoltre, era forte il senso del bello e la bellezza era frutto della semplicità: anche per questo amava suonare Mozart con il suo adorato violino. Albert non perse mai quella «stupenda mescolanza» di fiducia, umiltà e meraviglia che fece di lui uno dei più grandi rivoluzionari del ‘900. Ancora oggi la sua vita straordinaria ci riporta all’importanza della creatività, del bello, dell’immaginazione, della responsabilità individuale, della concentrazione, dello sguardo e dell’impegno.
Nel nostro piccolo, dando a tanti bambini e ragazzi l’opportunità di immaginare e sperimentare, ci piacerebbe offrire loro la possibilità di gustare le scienze e, in generale, lo studio. Perché «la mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre».