VOCI: Soufiane, Parigi-Torino in bicicletta e l'Europa che amo

Soufiane, nato in Marocco e cresciuto tra la Francia e l'Italia, è partito con la sua bicicletta da Parigi ed è arrivato a Torino, dove ha trascorso gran parte della sua adolescenza. Il viaggio è stata un'occasione di crescita e pensiero. L'Europa che ha imparato ad amare non ha muri ma frontiere che si possono attraversare facilmente. 
 
Mi chiamo Soufiane, sono nato in Marocco dove ho vissuto fino all'età di 14 anni. All’epoca mio padre viveva già in Italia per motivi lavorativi ed economici. Sono venuto a Torino per il ricongiungimento familiare e, quando sono arrivato, non sapevo cosa aspettarmi. Avevo solo qualche idea basata sulle immagini che vedevo in TV.
 
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Ero entusiasta di conoscere, imparare e assaporare ciò che mi avrebbe offerto questo meraviglioso paese. Inizialmente non sapevo neanche una parola della lingua italiana, ma nel giro di un anno scolastico sono stato in grado di affrontare le conversazioni come qualsiasi altro ragazzo della mia età. Mio padre era fiero di me e io mi sentivo soddisfatto. Era solo l'inizio di una serie di traguardi che mi sono prefissato e che in parte sono riuscito a raggiungere, grazie alla volontà e al sostegno di alcune persone che ho incontrato nel mio percorso. L’anno scorso, dopo il diploma, mi sono trasferito a Parigi per raggiungere mia madre.
In questi giorni sono a Torino e ci resterò per qualche settimana. Ci sono arrivato in una maniera un po’ particolare. Ho sempre amato le sfide, quindi ho deciso di regalarmi un’avventura in solitaria. Inizialmente non avevo un’idea precisa, poi un giorno mi sono detto: “Compro una bici, un sacco a pelo, una tenda… e parto!”.
 
Volevo attraversare la Francia e arrivare a Torino entro 6 giorni. Quando ho comprato la bicicletta, per prima cosa ho parlato con mia madre: “Mamma” le ho detto “voglio fare un’avventura in solitaria e ho bisogno del tuo consenso e della tua benedizione”.
“Ormai hai ali grandi” ha commentato “e io non posso impedirti di volare per timore che tu cada.”
Mio padre, invece, mi ha messo davanti a tutti i possibili disastri: se ti si buca una ruota, se si rompe la catena, se non ti funzionano più i freni, se ti rapiscono e se, se, se, se … Alla fine si è convinto. Li chiamavo ogni sera e, la notte in cui sono arrivato a Torino, ho fatto loro una telefonata in diretta mentre pedalavo per entrare in città. Erano molto orgogliosi e contenti.
 
Durante il mio percorso ho visto tantissimi posti, tra i quali Melun, Fontainebleau, Auxerre, Chalon. A Chambery ho preso treno e navetta per attraversare le Alpi e arrivare a Bardonecchia. Mentre pedalavo, ho avuto modo di pensare a molte cose che sono successe nella mia vita. Ho pensato alle persone che ho conosciuto, agli affetti più cari, alle amicizie mantenute e a quelle perdute. Mi sono reso conto che, in fondo, pedalare verso una meta è come andare verso il proprio destino. Mi sono ricordato di quando stavo imparando ad andare in bicicletta: ho imparato da una cugina, su una bici molto più grande di me. Ho imparato a cadere e soprattutto a rialzarmi, e a non perdere mai la voglia di ricominciare. Da allora ne ho fatta di strada!
 
Della mia avventura in bici, ho amato in particolare le notti. Di solito piazzavo la tenda al bordo della strada o in uno spiazzo e mi infilavo dentro per dormire in bivacco. In quei momenti di solitudine e silenzio, dicevo a me stesso che quella era l’Europa che ho imparato ad amare, fatta di spazi aperti, di possibilità e assenza di confini. Gli avvenimenti di questi ultimi mesi, invece, raccontano di confini che si chiudono, di barriere e muri che si alzano.
 
Io sono musulmano figlio di genitori musulmani praticanti ed ero a Parigi durante le stragi del 13 novembre 2015. Giravo per la città con alcuni amici del gruppo di teatro assaiASAI, venuti in visita in Francia. Abbiamo capito subito che c’era qualche cosa che non andava. La città era completamente paralizzata e noi, per ritornare a casa, abbiamo camminato a lungo. Ovunque c’erano sirene e macchine della polizia. Pensavamo a un grosso incidente, poi abbiamo sentito che la gente parlava di attentati terroristici operati da un gruppo di estremisti che non voglio chiamare islamici. Da musulmano, dico che queste persone non sono degne di appartenere all’Islam che si basa su fratellanza, pace e altruismo. Per me è intollerabile portare la guerra su questa terra, nella speranza di un paradiso incerto dopo la morte. Tutti i fanatismi sono pericolosi, religiosi, politici o sportivi che siano. La pace, per me, è il solo strumento di convivenza possibile, nel rispetto delle diversità di tutti.
 
In questi giorni la mia bicicletta riposa, ma non la mia testa. Che cosa voglio per me? La possibilità di non perdere mai i sogni. Che cosa voglio per l’Europa in cui sono cresciuto? La possibilità che la sua gente non smetta di viaggiare, fisicamente e con i pensieri. 
 
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